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Genitori troppo presenti e protettivi fanno male ai figli

Quando un genitore si interessa alla vita del proprio figlio in modo continuo rivela eccessiva apprensione che alla lunga finisce per essere deleteria

"Stai attento, non prendere freddo"; "Mi raccomando vai piano"; "Fammi uno squillo quando arrivi"; "Stai bene? Tutto a posto?"; "Non andare in giro col buio"; "Con chi esci? Dove vai? Cosa fai?". Se queste frasi fossero pronunciate una volta ogni tanto, non ci sarebbe nulla di male. Parlerebbero di un genitore che si interessa della vita e della sicurezza del proprio figlio. Il problema sorge quando frasi simili vengono espresse in modo continuo, quasi ossessivo, non solo a figli piccoli, adolescenti, ma anche a giovani adulti che magari già lavorano, o vanno all'università o stanno mettendo su famiglia.

In tal caso rivelano un genitore apprensivo, che vive la crescita del figlio (la sua progressiva autonomia, il suo andare nel modo, l'ampliamento delle sue relazioni) in modo angosciante vede pericoli ovunque, li vede enormi, imminenti, pronti a colpire e tenta di proteggerlo con costanti domande, consigli e richieste di vicinanza. L'intento potrebbe sembrare buono, ma i risultati sui figli sono sicuramente deleteri.

Genitori iperprotettivi, dinamiche di attaccamento

Proteggere un bambino significa essere presente in ogni circostanza. Il genitore è una figura di riferimento fondamentale che fornisce nutrimento, affetto, attenzioni, che sa anche sostenere, consolare, aiutare il piccolo a gestire le sue emozioni e le sue paure. Ciò consente al figlio di esplorare l’ambiente circostante con libertà, fiducia e sicurezza personale.

Iperproteggere evidenzia invece il prestare un’attenzione eccessiva, orientando il comportamento dell’altro verso una direzione precisa, piuttosto che lasciarlo libero di manifestarsi in maniera spontanea. Se un bambino produce naturalmente un’azione e il genitore accorre (spesso agitato), il messaggio che passa è quello di mettere in discussione il suo operato: “non sentirti sicuro”, “non sentirti capace”, “non puoi sentirti libero di fare, di agire”, “non ci riesci da solo”, “non puoi separarti”, “sei fragile ed indifeso”.

Nel legame di attaccamento madre-bambino la fase simbiotica con i propri figli esiste fino al 6° mese di età del figlio, età in cui il piccolo non riconosce il proprio “Io” da quello della mamma e la sua vita e la sua sopravvivenza dipendono strettamente dalle cure e dalla presenza materna. Successivamente a questo periodo una madre eccessivamente "ansiosa" e preoccupata può influenzare in maniera negativa la naturale crescita del figlio: proiettando sul figlio le sue paure, in una continua dinamica di fusione/simbiosi, la madre invia al figlio messaggi contorti e limitanti che lo bloccano nelle inevitabili esperienze di separazione, necessarie per diventare autonomo e sentirsi una persona libera e sicura.

D'altro canto, e a sua ragione, una madre iperprotettiva e ansiosa ha sviluppato delle antennine abnormi che, anziché segnalare pericoli reali, finiscono per segnalare pericoli eccessivi o inesistenti, che hanno un impatto molto forte su di sé, al punto da sollecitarla tutte le volte ad intervenire.

Le conseguenze sui figli

Proteggere il bambino da ogni singola fatica, impegno o disagio comporta per quest’ultimo una rinuncia sul piano esperienziale]. Ciò implica che durante il suo sviluppo vivrà male la frustrazione perché abituato ad essere soddisfatto ad ogni sua lacrima o capriccio, a non agire poiché in tutte le situazioni c’è chi lo fa per lui. Crescendo iniziano le difficoltà: manifestazioni di ansia, attacchi di panico, fobie, che potranno presentarsi già in tenera età e influiranno negativamente sulla sua naturale necessità di allontanarsi dalle figure di riferimento. In particolare quando dovrà allontanarsi da casa (uscire, stare con gli amici, andare a scuola, andare all'università, viaggiare per qualche giorno) o quando tenterà di percorrere una strada diversa da quella ‘proposta’ o nel tentativo di diventare autonomo sul piano personale, non si sentirà in grado di farlo da solo. l legame genitore-figlio viene inglobato in una simbiosi patologica che, nei casi più gravi, conduce alla psicosi. L’invadenza irrimediabilmente produce degli scompensi interiori, dei conflitti, delle emozioni sottostanti di rabbia, frustrazione, insicurezza poiché ad ogni tentativo sano del figlio di porre dei limiti ai suoi cari, emergerà in lui il senso di colpa. Ciò inoltre darà forma ad una struttura di personalità dipendente che chiederà sempre agli altri di fare al posto suo o comunque reclamerà consolazione e protezione per paura che possa succedere qualcosa. Molti dei problemi legati all'alimentazione dipendono da questo tipo di dinamiche familiari. 

Che fare?

Come genitore è importante imparare a calibrare la protezione e l’appagamento dei desideri infantili e adolescenziali con una buona dose di ‘negazioni’ ]poiché non tutto si può fare sempre.

Imparate quindi a fidarvi di vostro figlio. La maggior parte delle catastrofi che temete, per fortuna, non si verificheranno. E, nel tentativo di tenere tutto sotto controllo, pensate che state rinunciando a momenti di gioia e serenità con la vostra famiglia.

Smettete di preoccuparvi e di occuparvi di tutto, lasciate che vostro figlio sbagli, lasciate che ci provi da solo. 

Il vostro compito come genitore non è quello di sostituirvi a lui per poterlo proteggere meglio, ma quello di “esserci”, di “essere presente” quando lui, dopo una caduta, dopo un litigio col compagno o, dopo un’esperienza di cui è preoccupato, avrà bisogno del vostro sostegno, del vostro sorriso o di un abbraccio. Inoltre se vi accorgete di avere difficoltà a contenere le vostre ansie o le vostre preoccupazioni, chiedete aiuto ad uno specialista (psicoterapeuta) per poter comprendere da dove proviene il vostro disagio e imparare a gestirlo in maniera più produttiva sia per la vostra serenità sia per quella dei vostri figli.

Pubblicato su Tablò, Giornale di Acerra, Febbraio 2017



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