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Mio figlio adolescente si taglia. Cutting e autolesionismo

Il cutting, ovvero tagliarsi su braccia e gambe rappresenta l’ultima frontiera dell’autolesionismo giovanile. Negli ultimi anni il fenomeno di emulazione attraverso i social è aumentato del 30%.

Il cutting, ovvero tagliarsi su braccia e gambe con oggetti appuntiti come coltelli, lamette, pezzi di vetro, lattine usate, rappresenta l’ultima frontiera dell’autolesionismo giovanile. Si stima che circa il 10% dei teenager tra i 13 e i 16 anni facciano ricorso al cutting, dunque oltre 200 mila adolescenti, di questi il 90% sono femmine e spesso utilizzano i social network come vetrina di esposizione e richiesta di aiuto. Negli ultimi anni il fenomeno di emulazione attraverso i social è aumentato del 30%.

Come spiega lo psichiatra Charmet, con una grande esperienza clinica tra i giovanissimi: "Tagliarsi è un rito ipnotico e catartico. Il coltello che scava nella pelle, la vista del sangue, il batuffolo d'ovatta che si macchia, la ferita che diventerà una cicatrice e dunque un trofeo. Può essere la rabbia contro un'ingiustizia subita, un rifiuto amoroso, un fallimento a scuola: si volge il coltello contro se stessi quando ci si sente impotenti di fronte ad un dolore, un sopruso, una delusione. Attenzione però: anche se i ragazzi fanno di tutto per nascondere quei segni coprendoli con i pantaloni, sotto le maniche lunghe, l'autolesionismo è un gesto contro di sé che vuole parlare agli altri. Un grido d'aiuto insomma".

Il taglio (o l’ustione, o qualunque altra condotta di autolesione) permette allora per un momento alla persona di concentrarsi sul dolore fisico per non sentire il dolore emotivo, ma anche di comunicare attraverso il corpo quello che le parole non riescono a descrivere.

Autolesionismo significa causare in modo disfunzionale e ripetitivo un danno al proprio corpo. Tagliarsi (cutting), ma anche bruciarsi con le sigarette (burning) o marchiarsi a fuoco la pelle con un laser o un ferro rovente (branding) o  grattarsi sino a farsi uscire il sangue, o procurarsi lividi ed escoriazioni, permette, in assenza di strategie più mature e funzionali, di ristabilire un equilibrio, di ricollocarsi nella propria vita, di esprimere la propria indipendenza affettiva dai genitori o una sfida nei confronti delle regole che questi ultimi vogliono imporre. L'obiettivo non è uccidersi, ma trovare sollievo da una sofferenza emotiva.

Al contrario di quanto si possa credere, tagliarsi non ha nulla a che fare con il suicidio. In chi pratica il cutting la morte, nei rari casi in cui essa si verifica, è per lo più un incidente, dovuto a tagli involontariamente troppo profondi. Il desiderio di chi si taglia è anzi opposto alla morte: è l’estremo tentativo di recuperare il controllo sulla propria vita. Tagliarsi ha a che fare con il desiderio di liberarsi del dolore. Nell'impossibilità di farlo, si cerca almeno di trasformarlo nella forma di dolore più gestibile e controllabile. Così tutte quelle emozioni e angosce che non trovano forma a parole, trovano forma in ferite e in quanto tali sono persino medicabili, quasi curabili, almeno per un poco.

Gli adolescenti che si tagliano o fanno altri tipi di gesti autolesivi non sono necessariamente afflitti da qualche disturbo mentale. Tuttavia il cutting apre la strada a diverse forme disfunzionali e pericolose di gestione dei propri stati emotivi], come l’isolamento, la depressione, l'abuso di sostanze, i disturbi alimentari, i disturbi da stress post-traumatico, la schizofrenia e altri disturbi di personalità, avviando quindi un circolo vizioso che si aggrava e cronicizza nel tempo. Per questa ragione l’intervento precoce è fondamentale ed è importante che un genitore presti attenzione ad alcuni comportamenti dei propri figli.

Alcuni segnali che possono far insospettire:
  • Maniche lunghe anche fuori stagione, vestiti eccessivamente coprenti anche d’estate
  • Frequenti macchie di sangue sui vestiti
  • Ferite, lividi o tagli non spiegati
  • Possesso di oggetti appuntiti come lamette, pezzetti di vetro o di ceramica, coltellini
  • Isolamento (come ad esempio passare lunghi periodi chiusi in bagno)
  • Mancanza di legami sociali
  • Disegni, scritti ecc. che hanno per tema il dolore, la tristezza, il ferirsi.

Cosa fare?

Per aiutare un adolescente che si ferisce, è fondamentale non colpevolizzarlo né mortificarlo. E’ necessario che il genitore tenga a mente che, per quanto gli appaia incomprensibile, questo è l’unico modo che il figlio o la figlia hanno trovato per fronteggiare un periodo difficile. Dunque fargli sentire tutto il nostro sostegno e la nostra comprensione, evitare quindi ultimatum, punizioni o minacce.

Offrire sostegno significa aiutarlo a riconoscere le proprie emozioni e a gestirle in modo diverso che con i tagli, incoraggiandolo a chiedere aiuto ad un esperto per risolvere al più presto la problematica emergente. Uno psicologo/psicoterapeuta competente potrà aiutarlo ad elaborare ciò che gli sta accadendo, a riconoscere le proprie emozioni e quindi ad individuare strade più sane per esprimere i suoi stati d’animo. 

Pubblicato su Tablò, Giornale di Acerra, Maggio 2017



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